Carlo Orsi - fotografia pubblicata in Città Milano, ad acompagnare il testo di Emilio TadiniMilano

Città Milano – Emilio Tadini, Carlo Orsi: Quel quasi niente di follia

Città Milano – Testo di Emilio Tadini, fotografia di Carlo Orsi: Quel quasi niente di follia. La rivista di grande formato Città Milano (uscita dal 1997 al 2001) è stata diretta da Guido Vergani e fondata con il fotografo Carlo Orsi. Vi hanno collaborato grandi “interpreti” della vita milanese – grandi scrittori – e ha  raccolto immagini della città realizzate da alcuni dei più importanti fotografi e fotogiornalisti italiani.

Carlo Orsi - fotografia pubblicata in Città Milano, ad acompagnare il testo di Emilio Tadini

Carlo Orsi – fotografia pubblicata in Città Milano, ad acompagnare il testo di Emilio Tadini

Nell’ottobre del 2002, un mese dopo la scomparsa di mio padre Emilio Tadini, è uscito un numero speciale a lui dedicato… e intitolato Torno subito – dal cartellino scritto a mano che papà, spesso, affiggeva alla porta dello studio dove dipingeva e scriveva – contenente nove suoi testi pubblicati nel corso degli anni dell’impresa editoriale (di altissima qualità) di Città Milano.

Quello che segue si intitola Quel quasi niente di follia, ed è dedicato alle serate / notti a Milano. Nella rivista – qui ne riporto una – è accompagnato dalle meravigliose fotografie di Carlo Orsi. Se volete consultarla passate alla Casa Museo Spazio Tadini, in via Jommelli 24, anche sede del club fotografico milanese PhotoMilano.

Ci sono tante notti di Milano, nella mia memoria. Tanti diversi tipi di notti, voglio dire. Ma la prima notte che adesso mi viene in mente sono sicuro che è unica. È appena finita la guerra, sono finiti i due ultimi, terribili anni di guerra. Così, finisce anche l’oscuramento – quando tutta la città stava a luci spente per nascondersi agli aerei da bombardamento.

E naturalmente l’oscuramento finisce all’improvviso, proprio da una notte all’altra. E io sono per strada, e, nel primo buio, di colpo, si accendono tutti i lampioni e nelle case la gente apre le finestre sulle stanze illuminate. Gridavano?

 

Emilio Tadini, rivista Città Milano dedicata all'artista e scrittore

Emilio Tadini, rivista Città Milano dedicata all’artista e scrittore scomparso nel 2002

Agitavano le braccia? Devo aver camminato per ore, prima di decidermi a tornare a casa.
Poi ci sono le notti della Milano del dopoguerra. Si andava sempre a teatro. E si vagava per le strade, dopo teatro, parlando del mondo, dell’universo, e senza il minimo dubbio sulla nostra competenza. Ogni tanto ci mettevamo a giocare – si era poco più che ragazzotti. Quando qualcuno apriva la finestra e ci gridava che era tardi, che era ora di andare a dormire, noi si sentiva qualche brivido di orgoglio sprezzante. Vanità, sciocchezze, certo. Ma ci sembrava che bastasse a riempire la notte intera una notte dopo l’altra. Finiva che si camminava per strada, ancora per ore, con l’ultimo amico rimasto. Io accompagnavo lui dalle parti di casa sua, lui accompagnava me dalle parti di casa mia, avanti e indietro. Fausto Salvadori, quando vedevo che era proprio deciso a mollarmi, incominciavo a farlo parlare di ragazze. Mi veniva dietro come un cagnolino, mi accompagnava fino all’angolo della mia strada, quale che fosse l’ora.

A questo punto, nel mio ricordo, di colpo, precipitano le notti squallide degli anni Settanta. Buie – malgrado tutti i lampioni accesi. Da film espressionista – che ancora un po’ e le case avrebbero cominciato a inclinarsi, a mettersi sghembe. Pochissima gente, per strada. Quando alle spalle si sentiva un rumore di passi, non ci si voltava neanche, si cambiava marciapiede. Si usciva poco, la notte, e se si usciva si cercava di star fuori il minimo indispensabile.

Quando, la notte, ho ricominciato a attraversare a piedi mezza città – dal centro verso est, la mia Milano – mi è sempre piaciuto molto arrivare a Porta Venezia e imboccare corso Buenos Aires. A qualsiasi ora, c’è molta luce e auto che passano. Ci sono auto parcheggiate, e gente che compra il giornale, intorno alle edicole aperte. Porta Venezia è davvero una frontiera, anche di notte. Una frontiera che divide due paesi, e molto diversi fra loro. Verso il centro la Milano dei quartieri alti. Passata Porta Venezia (Porta Orientale) una Milano più “bassa” ma molto più viva.

Lì intorno abitano arabi, africani, ci sono i loro ristoranti, i loro bar…
Secondo una ricerca, sono duecentomila, ogni sera, quelli che vengono a passare la prima parte della loro notte a Milano. Ogni tanto, sul tardi, verso Loreto e viale Monza, passa un’auto stipata di giovanotti, con lo stereo sparato a tutto volume. Anche d’inverno, a finestrini chiusi, si sente, violentissimo, il battere delle percussioni elettroniche. Bum bum bum bum…
Poi, quando è proprio tardissimo, ad avere buone orecchie, di quelle che qualcuno ha nelle fiabe, si dovrebbe riuscire a sentire addirittura il fruscio delle bombolette spray dei graffìtisti. Gente che vuole lasciare una traccia di sé, a ogni costo, sui muri della città – un po’ come facevano i viaggiatori che venivano dal nord, nel Settecento, nell’Ottocento, sui monumenti, qui in Italia. Tranne che quelli firmavano incidendo con una punta di metallo.

Anche a Milano, più che consiglio la notte porta quel quasi niente di follia che tutto sommato ci vuole. Una specie di serenità un po’ eccitata, di tesa distrazione, qualcosa come un piccolo, gratificante spreco di energie…

Emilio Tadini

 

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