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Francesco Falciola, Profughi a Spazio Tadini

Il mare non è solo il teatro della tragedia del nostro presente, è la frontiera che noi difendiamo per mettere al riparto il nostro benessere, il confine che salvaguardiamo insieme ai nostri privilegi. In queste fotografie simboleggia alcuni momenti del viaggio verso un futuro incerto con nel cuore un doloroso passato. 1) LA SPERANZA Il mare visto dalla riva racconta nella sua interezza la speranza contenuta nel viaggio, il desiderio di fuga, l’attrazione provata verso quella luce che illumina l’orizzonte. Il sole che filtra tra le nuvole sembra indicare la rotta da seguire per raggiungere l’agognata meta. Ma le ombre sono lì a ricordare la minaccia che accompagna il tragitto da affrontare. 2) L’INTEGRAZIONE Questi sassi chiari e scuri che si mescolano tra di loro, portati dal movimento delle onde sulla battigia, simboleggiano quell’integrazione che i profughi  si aspettano di trovare. L’effetto piacevole dell’immagine è qualcosa che nella realtà non abbiamo il coraggio di provare.

Il tema dei profughi mi rimanda inevitabilmente al mare. Non solo è il teatro della tragedia del nostro presente e il cimitero del mondo occidentale, ma la sua natura mi ricorda molti dei simboli collegati a qualsiasi viaggio alla ricerca di una meta, di un futuro migliore, di un cambiamento, di una nuova vita. E’ la frontiera che noi difendiamo per mettere al riparo il nostro benessere, il confine che salvaguardiamo insieme ai nostri privilegi. Una volta tanto non è l’indifferenza che ci fa respingere chi arriva, ma la paura. Quella paura di tornare ad essere noi stessi profughi, come lo siamo stati in passato. In realtà non occorre andare poi tanto lontano per perdere le proprie origini e sappiamo quanto costi smarrire questi punti di riferimento, tanto che spesso non troviamo la forza per affrontare passi infinitamente più piccoli. Non disquisiamo delle cause e delle responsabilità che conducono moltitudini di persone a lasciare le loro case, non ci preoccupiamo di quanti individui siano in procinto di farlo, non ci soffermiamo sulla loro disperazione nell’intraprendere un cammino così azzardato perché siamo impegnati nell’analizzare l’impatto della loro fuga sulle nostre vite. Temiamo che questo rimescolare le carte faccia saltare il nostro banco. Non osiamo guardare negli occhi il loro abbandono perché paventiamo il nostro. Parliamo di immaginari aiuti a paesi in cui concretamente inseguiamo ancora interessi inconfessabili. Affrontiamo l’argomento solo per inculcare nella massa il terrore di trovarsi nella stessa situazione, alimentando diffidenza per tutto ciò che è diverso e lontano dalla nostra cultura. Osteggiamo con tutti i mezzi la difficile e coraggiosa condizione del profugo e dimostriamo viltà col nostro immobilismo. Preferiamo non vedere le torture e le violenze subite lungo il percorso. Costruiamo alibi che saranno facilmente smascherati dal giudizio della Storia e seppelliranno la nostra dignità in fondo a quel mare che in queste fotografie, giocando sulla luce, simboleggia alcuni di quei momenti che scandiscono quel viaggio verso un incerto futuro con nel cuore un doloroso passato.

Francesco Falciola

http://www.francescofalciola.com

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