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Masahisa Fukase: Private Scenes, Fondazione Sozzani – di Federicapaola Capecchi

In un lunedì di sole alto e caldo, tra sincronie gradite passeggiando per Milano, finisco in Corso Como e a quel punto, come sempre, la tentazione è inevitabile: mostra fotografica e dose di sniffamento libri fotografici freschi di stampa.

La mostra è Private Scenes di Masahisa Fukase, la prima mostra retrospettiva italiana dedicata al grande fotografo giapponese, a cura di Foam Fotografiemuseum di Amsterdam in collaborazione con Tomo Kosuga, direttore di Masahisa Fukase Archives.

Retrospettiva che presenta le più importanti opere e pubblicazioni, le stampe originali e i documenti che provengono da Masahisa Fukase Archives, che spaziano dai primi anni Settanta ai primi anni Novanta.

La sua lotta personale contro il senso della perdita e la depressione, i suoi soggetti, personali e molto intimi, – la moglie Yoko, il padre morente e l’amato gatto Sasuke -, sé stesso, gli auto ritratti, Ravens (i corvi), la sopravvivenza e il dolore personale, l’esasperata idiosincrasia, la non accettazione di sé stesso, la continua sperimentazione, sono gli ingredienti di questa intensa mostra che è una concreta possibilità di ascoltare e dialogare da vicino con questo autore in modo sosprendentemente giocoso. Che è la cifra con cui Masahisa Fukase incide ogni fotografia e tema…in modo sorprendentemente giocoso.

Masahisa Fukase_Untitled, from the series Berobero © Masahisa Fukase Archives

Ci si muove per stanze e nuclei fotografici e tematici che raccontano un pezzo unico di storia fotografica giapponese del dopoguerra.

Kill the Pig, progetto costituito da una serie di fotografie scattate durante ripetute visite ad un macello di Tokyo abbinate a studi sperimentali sulla moglie incinta e sul bambino nato, riflette la cupa sensibilità di Masahisa Fukase ed è una riflessione insieme giocosa e macabra sull’amore, la vita e la morte.

Masahisa Fukase_Kanazawa 1997, from the series Ravens © Masahisa Fukase Archives

Ravens, noto anche come KarasuThe Solitude of Ravens –. Realizzato tra il 1975 e il 1982 inizia nei luoghi di Hiroshima e termina a Hokkaido. Concentrato e focalizzato sui corvi, gatti, ragazze, un solitario senzatetto e, infine, la sua ex moglie, che lo aveva lasciato dopo tredici anni di matrimonio. È un corpus di lavoro molto forte. Masahisa Fukase abbandonato dalla moglie decide di fare un viaggio in treno verso la sua città natale. Durante il viaggio, guardando fuori dal finestrino, viene ossessivamente attratto e affascinato dagli stormi di corvi di passaggio in volo o raccolti nelle stazioni ferroviarie. Decide così di scendere dal treno ed iniziare questo lavoro che diventerà un libro. Pubblicato nella sua prima edizione nel 1984, poi nel 1986 e dichiarato il miglior libro fotografico degli ultimi 25 anni dal British Journal of Photography nel 2010.

Masahisa Fukase_Untitled 1985, from the series Raven scenes © Masahisa Fukase Archives

Gli stormi di corvi, sono simbolo e metafora per Fukase. In molte culture popolari sono portatori di malaugurio, portabandiera della morte e della perdita; nella mitologia giapponese – tengu (天狗) – hanno un che di soprannaturale, sono esseri pericolosi e dirompenti. E la narrativa di Fukase non rende miglior merito a questi uccelli, diciamo così.

Masahisa Fukase_Raven 1976 from the series Ravens © Masahisa Fukase Archives

Fotografie desolate e malinconiche dove il corvo è un simbolo con innumerevoli riferimenti e allusioni. Le fotografie più affascinanti e forti sono infatti quelle dove non vediamo i corvi direttamente ma li percepiamo, li immaginiamo disegnarsi tra le pieghe del soggetto o dell’inquadratura che stiamo osservando. Penso alla fotografia di tre ragazze su una barca sull’oceano. Di spalle, i capelli nero corvini e lisci frustati dal vento; e sono questi elementi ad evocare la presenza figurativa del corvo. Una forma di oscurità domina il primo piano, l’immagine è sottoesposta, i volti scuri, il sentimento di perdita e ricordo riempiono ogni angolo della fotografia, fino a sfondarne i contorni e il perimetro.

Una fotografia che arriva come un lamento all’amore perso. Fotografie intrise di personale, anche se alcuni sostengono che, alcune,  abbiano anche rimandi sociali legati alle inquietudini del Giappone del dopoguerra. Ma rimane, fotografia dopo fotografia, questa forte sensazione di un lamento personale, che riflette una visione del mondo sempre più cruda, devastante e pessimista. Dinanzi ad alcune fotografie – sono sincera – è difficile soffermarsi subito a lungo, è necessario spostarsi in una presa di distanza, tanto è diretto il senso di autodistruzione. Semioscurità e silhouette scure in una danza disperata. Fotografie quasi tutte sottoesposte, incise da un uso drammatico dello sfocato, corpose di un’intensa ruvidità.

Masahisa Fukase_Untitled 1991, from the series Bukubukuo © Masahisa Fukase Archives

La stanza degli autoritratti è altrettanto intensa. La sua incompatibilità, avversione verso situazioni o anche persone e l’inesauribile spinta alla sperimentazione di Fukase culmina negli autoritratti e nelle scene di strada di Scene private (1990-1991), Hibi (1990-1992) e Berobero (1991). Serie che documenta il vagabondaggio di Masahisa Fukase per le strade e la vita notturna di Tokyo. Bukubuku (1991) è una serie di autoritratti nella sua vasca da bagno. Le stampe sono datate con il timbro che iniziò ad usare negli ultimi anni della sua vita lavorativa. Insieme le fotografie formano un diario idiosincratico e scandiscono i giorni, i mesi e gli anni in cui Masahisa Fukase ha vissuto e giocato, in quasi totale isolamento.

La stanza delle cronache di famiglia introduce l’osservatore in un precario equilibrio tra sopravvivenza/sopportabilità della vita e dolore personale, nel tema della vecchiaia, della vita e della morte. Memories of Father (1971-1987) mostra la vita, il lento decadimento e  la morte di suo padre; un tenero omaggio. I ritratti di famiglia (1971-1989), divertenti e seri, vedono Fukase ritrarre la sua famiglia nello studio fotografico dei suoi genitori anno dopo anno, formando un’eccezionale cronaca intima, ironica, familiare.

Masahisa Fukase, Untitled 1975, from Memories of Father, © Masahisa Fukase Archives

E poi ci sono le sale con Game, le teche con una serie realizzata con carta fotografica modificata, con giochi e follie del suo gatto, con fotografie in studio, messe in scena e immagini di sé stesso con i suoi amici al bar.

La mostra si articola anche attraverso bellissimi libri, purtroppo ma comprensibilmente, tutti chiusi in teche di vetro.

Rimane, uscendo, la sensazione di aver avuto a che fare non solo con un grande autore e con un ironico quanto tragico visionario sofferente. Ma soprattutto con un’intelligenza di cui cercare in profondità il pensiero. I suoi temi centrali – nostalgia, isolamento, solitudine, inadeguatezza – sono spinti a profonde durezze da una diffusa pienezza del vuoto, abilmente giocata nella curatela e nell’allestimento. Scelta, penso, fedele al fatto che nella cultura orientale – e in particolar modo in Giappone – l’idea di vuoto rimanda ad un pieno di possibilità e libertà. Il vuoto dunque, forse anche quello abitato da Fukase nel suo dolore, non è una negazione di un pieno positivo ma è ciò che individua e distingue.

Perché la verità è concreta come dice Peter Brook, e come dicono le creazioni fotografiche o non di Man Ray. Anche Masahisa Fukase, come Man Ray, percorre ostinatamente la strada di temi che vuole non si ignorino: la psicoanalisi, l’amore, l’erotismo, la morte, il dolore, la delusione, la politica, la religione. Temi forse antichi o esauriti ma che tornano alla mente, forse con invocazioni d’aiuto.

Federicapaola Capecchi

Mostra da vedere, fotografo da studiare, guardare e ascoltare con attenzione.

Masahisa Fukase è nato nel 1934 a Bifuka, nella zona settentrionale dell’isola di Hokkaido. Come figlio maggiore, Fukase era destinato a prendere in gestione lo studio fotografico di famiglia, fondato dal nonno nel 1908. Inizia ad aiutare i genitori all’età di sei anni e gestisce lo studio fotografico famiglia fino al trasferimento a Tokyo per studiare fotografia nel 1952.

La mostra “Kill the Pig” (1961) fu la prima presentata ad un grande pubblico. Nel 1964 tre anni dopo l’improvvisa partenza della prima moglie, sposò Yoko, il suo grande amore.

Per dodici anni Yoko fu la sua musa. Nel 1974 Fukase fondò la “Workshop Photography School” di Tokyo con noti fotografi giapponesi come Shomei Tomatsu, Eikoh Hosoe, Noriaki Yokosuka, Nobuyoshi Araki e Daido Moriyama. Il loro lavoro venne presentato nella mostra New Japanese Photography al MoMA (New York) nel 1974 introducendo per la prima volta una nuova generazione di fotografi giapponesi in Occidente. Nel 1976 il divorzio da Yoko segnò l’inizio della celebre serie “Ravens”, ma anche della depressione e dell’alcolismo. Nel 1992 Fukase, ubriaco, cadde dalle scale e rimase in coma per venti anni. Dopo la sua morte, avvenuta nel 2012, il suo lavoro è stato reso gradualmente reso accessibile dagli archivi Masahisa Fukase, istituiti a Tokyo nel 2014. Il lavoro di Fukase è stato esposto in numerose istituzioni tra cui il MoMA, il Victoria and Albert Museum, l’ICP, la Fondation Cartier pour l’Art Contemporain e la Tate Modern. Il suo lavoro è presente in collezioni pubbliche e private, tra cui Victoria and Albert Museum, Tate Modern, SFMoMA, Metropolitan Museum of Art, Getty Museum.

In mostra alla Galleria Carla Sozzani di Milano fino al 31 marzo 2019.

Masahisa Fukase

Private Scenes

Curated by Foam Fotografiemuseum Amsterdam
in collaboration with Tomo Kosuga, director of the Masahisa Fukase Archives.

Corso Como 10 – 20154 Milano, Italia

Tel +39 02 653531 fax +39 02 29004080

www.fondazionesozzani.org

Federicapaola Capecchi ringrazia l’Ufficio Stampa di Fondazione Sozzani, nella persona di Stefania Arcari, che ha gentilmente fornito le immagini e i credits. E per la celere risposta alla nostra richiesta in merito.

PhotoMilano club fotografico milanese

Francesco Tadini ha costituito – vedi la sua pagina su questo sito all’indirizzo https://photomilano.org/francesco-tadini/ – nel giugno 2017, il gruppo Facebook Photo Milano, passione (e non solo) per la fotografia che raggiunge e unisce, attualmente, l’attività di più di 2600 iscritti. Il club fotografico ha sede presso un’altro progetto di Francesco Tadini: la Casa Museo Spazio Tadini in via Niccolò Jommelli 24 a Milano che – insieme all’altra fondatrice della casa museo, Melina Scalise e alla curatrice e agente fotografica (oltre che coreografa di fama) Federicapaola Capecchi – supporta l’attività del club con l’organizzazione di mostre fotografiche, workshop e serate di presentazione.  Alle esposizioni collettive e personali  – da giugno 2017 a oggi – hanno partecipato centinaia di fotografi milanesi e non. Il progetto di PhotoMilano è nato con l’intento di unire e rafforzare le relazioni tra fotografi professionisti – di vari settori – e le migliaia di appassionati che nella fotografia trovano non solo uno svago, ma un’occasione vitale di crescita.

 

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