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Fabiana Baccinello, Profughi a Spazio Tadini


UMANITA’
Fabiana Baccinello

Cosa rimane di quello che era? Ricordi, solo ricordi. Sfumati. Sparsi. Epici. Ricordi di seconda o terza mano. Nomi di persone appuntati su fogli per non dimenticarli. Ricordi ripetuti ed imparati come fossero stati vissuti. Nessuno più ci aspetta là, dove tutto è iniziato, nessuno qua che ci tenga così strettamente legati. Case vuote, piene di oggetti con nomi che dimenticheremo, piene di polvere che vola e si riposa. Fotografie per conoscere, per ricordare ricordi di ricordi.

Solitamente il termine “profugo” designava una persona costretta a cercare asilo per aver agito in un certo modo o per aver sostenuto una certa opinione politica. […] Ora “profughi” sono quelli di noi che hanno avuto la grande sfortuna di arrivare in un paese nuovo senza mezzi. […] Eravamo “immigrati” o “nuovi arrivati” perché, un bel giorno, avevamo lasciato i nostri paesi, nei quali non era più opportuno rimanere, o per ragione puramente economiche. Volevamo ricostruire le nostre vite, e questo era tutto. Per ricostruirsi la vita è necessario essere forti e ottimisti.
[HANNAH ARENDT “Noi profughi” 1943]

Pensavano di mettere su famiglia. Ma come si fa in questa terra così povera? Padri e figli a lavorare campi sfruttati da decenni, forse secoli: ogni anno la fatica aumenta e il raccolto diminuisce. E il padrone vuole la sua parte. 
C’è un cugino che lavora all’estero e può garantire per lui. Di questi tempi, con tutti i documenti in regola puoi andare fuori solo se qualcuno garantisce che non sei un ladro, un assassino o un sovversivo. Agli stranieri sono riservati i lavori che nessuno, potendo, vuol più fare, e per lui c’è un lavoro duro e pesante. Lei invece trova lavoro nella capitale, lì le “signore” cercano ragazzine che accudiscano le loro case e i loro bambini. Parte da sola, neanche vent’anni, che la vita per alcuni è sempre complicata e faticosa. 
E allora sono immagini scattate e spedite e parole per ricordarsi l’un l’altro. Libri della biblioteca letti più volte, custoditi gelosamente. Sono gli oggetti di una vita che non vuoi più vivere ma che ti tengono legata alla stessa. Sono quegli oggetti che ti porti dietro per ricordarti chi sei, da dove vieni.
Il lavoro per lui è troppo pesante e faticoso, non resiste più di sei mesi, e poi lo trattano male, è uno straniero, non può girare tranquillamente per le strade è pericoloso e quindi torna. I sogni e la speranza di cambiare e migliorare la propria condizione rimandati ma non ancora spenti. 
Passano i mesi, torna anche lei e in autunno si sposano. Iniziano la vita insieme, dura e faticosa. Lavorano insieme nei campi, ma non vedono un futuro lì, hanno l’ambizione di migliorare, di dare un futuro migliore ai figli. Raccolgono le loro quattro cose, le caricano su un camion di quelli con il cassone scoperto e partono. Attraversano una terra piatta, lui sul camion, lei e la bimba di tre anni su un treno. Per tutto il viaggio la piccola penserà preoccupata al suo gattone bianco e nero, chiuso in una gabbia sul cassone di quel camion.
Il sogno di un posto migliore si infrange subito: le case disponibili per loro sono quelle abbandonate nelle campagne. Niente acqua corrente, niente elettricità, per di più la casa è costituita da due stanze, una per piano collegate da una scala esterna. Una vita di campagna, dura. Il lavoro nei campi dall’alba al tramonto, le bambine a casa da sole. Il centro abitato è lontano, la strada da percorrere a piedi è pericolosa, andare a scuola o al mercato è un’avventura, e a volte succedono incidenti. Viene istituita una scuola lì, per questi bambini che arrivano da lontano e vivono ai margini della città. La vita è dura anche sei un bambino, se parli in modo un po’ differente dagli altri, non tutte le insegnanti sono pazienti e accettano le sgrammaticature, gli errori ortografici, l’ignoranza della storia locale. 
È davvero un posto migliore da quello da cui si è partiti? È davvero valsa la pena allontanarsi dalla terra e dalla famiglia di origine per iniziare una vita nuova, sperando che sia migliore? Forse il tempo darà le risposte. Il dubbio però rimane, e lui ci pensa, forse è meglio tornare, magari le tante difficoltà, grazie alla numerosa famiglia intorno si riescono a superare meglio. Ma si accorge anche che ormai è passato troppo tempo, tornando a casa si sente un po’ estraneo anche lì, a questo punto la sua piccola famiglia ha messo salde radici nella nuova terra. E rimangono.
Cosa rimane di quello che era? Ricordi, solo ricordi. Sfumati. Sparsi. Epici. Ricordi di seconda o terza mano. Nomi di persone appuntati su fogli per non dimenticarli. Ricordi ripetuti ed imparati come fossero stati vissuti. Nessuno più ci aspetta là, dove tutto è iniziato, nessuno qua che ci tenga così strettamente legati. Case vuote, piene di oggetti con nomi che dimenticheremo, piene di polvere che vola e si riposa. Fotografie per conoscere, per ricordare ricordi di ricordi. Fabiana Baccinello

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