Adele Caracausi, Camargue gennaio 2015fotografia

Fotografie dal collettivo PhotoMilano selezionate da Francesco Tadini

Come molti di voi hanno già visto, stiamo rinnovando il sito web, che diventerà sempre più uno strumento quotidiano di consultazione per il gruppo, con ampio spazio alle attività in calendario e ai portfolio fotografici. Come faranno a breve anche Melina Scalise e Federicapaola Capecchi, apro una rubrica con la quale, mese per mese (con frequenza non fissa) selezionerò – e a volte recensirò, invitandovi ad approfondire – fotografie che appariranno sul gruppo Facebook di PhotoMilano (vedi LINK), o che mi vorrete sottoporre privatamente alla mail francescotadini61@gmail.com

Francesco Tadini
Francesco Tadini, foto di Alessandra Bearzatto

Adele Caracausi, Camargue – Giangiacomo Rocco Di Torrepadula, Il cielo sopra Milano

Uscire dal mondo restandoci dentro. Uscire dall’automatismo della percezione. La fotografia come tecnica della fiaba. “C’era una volta” qualcosa che, ora, è cambiato. Pubblicate oggi (11 febbraio) sul gruppo di PhotoMilano, ho scelto queste fotografie di Adele Caracausi e Giangiacomo Rocco Di Torrepadula perché hanno entrambe la potenza di prenderci per mano e farci varcare la soglia dello straniamento. Adele mostra un frammento di Camargue – la foto è del gennaio 2015 – di una vastità tale che sarebbe “lunare”… non fosse che per due punti di riferimento principali (una macchina e un uomo incappucciato). La composizione, con quelle ombre lunghissime quasi parallele all’orizzonte e le linee prospettiche fornite dai segni dei pneumatici sulla sabbia – compattata dall’umidità invernale – è magistrale. — Giangiacomo – con una tecnica fotografica impeccabilmente al servizio del racconto – abbassa il cielo alla terra (stirando le nuvole come fossero lenzuola appese ad asciugare). E rende un angolo di Naviglio visto almeno un milione di volte … inedito. Funziona un po’ come una macchina del tempo: l’assenza di persone e il lucore spinto al massimo del Vicolo dei Lavandai ci conducono a sognare un’altra epoca. Poco importa quale: passata o futura. Che tutto ricominci.


Mirko Torresani, Sediamoci in tranquillità

Fotografia ben composta, questa di Mirko Torresani, con la coppia seduta leggermente decentrata a sinistra, a compensare, nei “pesi”, la colonnina di cemento. Il movimento dell’acqua – i cerchi che si allargano – sembra generato “per incanto”. E porta chi guarda a immaginarsi il legame con la vita della coppia. Una sorta di metafora dell’esistenza… Memorie affidate all’elemento più importante della vita, in viaggio – come bottiglia nell’oceano – verso il futuro. Ottimo bianco e nero e scelta dell’ora di scatto. Le ombre, lunghissime, accrescono la percezione e il senso di un racconto vespertino.


Alberto Scibona, IL SORRISO E’ UN INCIAMPO

Alberto Scibona, Una vita per i bicipiti, Villeneuve (AO), 2018
Alberto Scibona, Una vita per i bicipiti, Villeneuve (AO), 2018

Alberto Scibona in mostra alla Casa Museo Spazio Tadini dal 24 gennaio al 22 febbraio 2020 con “L’Umanità è un soggetto umoristico” – Il sorriso è un inciampo. E’ un trabocchetto divino che impedisce alla tragedia umana di fluire, senza ostacoli, fino al capolinea. Ed è, guardando una fotografia, una reazione quasi involontaria che muove 12 muscoli del viso a farci respirare ossigeno puro, non filtrato dalle nostre cattive abitudini quotidiane. Perché correre alla mostra di Alberto Scibona e non accontentarsi della “web-allegria” che ha già portato molti (io senz’altro: lo confesso) a fissare come salvaschermo una sua, particolare, foto da consumare prima e dopo i pasti, prima e dopo le riunioni di lavoro, prima e dopo l’apertura di una notifica delle Entrate? … Perché assorbirete, simultaneamente, più di una dose di Filosofia della Serenità che nutrirà quell’animaccia vostra. Perché il racconto di Alberto diverrà irresistibilmente chiaro. Un cielo d’estate che vi accompagnerà, leggero, come musica i danzatori. Fidatevi


Stefano Barattini

 Stefano Barattini
Stefano Barattini

Stefano Barattini è in mostra alla Casa Museo Spazio Tadini dal 24 gennaio al 22 febbraio 2020 con Geometrie rurali. Questa foto, postata sul gruppo PhotoMilano non è tra quelle selezionate per l’esposizione, purtuttavia dice molto del metodo di lavoro di Barattini volto alla ricerca di una composizione accuratissima dell’immagine. Riporto di seguito ciò che ho scritto per la mostra attualmente in corso:

Testo di Francesco Tadini:
“Stefano Barattini – La distanza della bellezza”

Avvicinandomi a un oggetto complesso posso esaminare le sue componenti. Se me ne allontano conosco la totalità della sua forma. Ma un oggetto – qualunque oggetto – non si da nello spazio se non in relazione ad altri oggetti. Ed è, ancora, da una certa distanza che posso conoscere il territorio (lo spazio misurabile) di tali oggetti.

Il metodo non cambia molto se prendo in considerazione un accadimento (anche minuscolo): vivendolo al presente ne sono testimone diretto. Prendendolo in esame in seguito – a una minima distanza temporale – conoscerò quello che non ho vissuto dal mio limitato punto di esperienza e che riguarda la totalità dell’accadimento. Ma è solo ad una distanza superiore che sarò in grado di conoscere le premesse e le relazioni di quell’accadimento con altri “eventi storici”.

La Geometria e la Storia dipendono dalle distanze. E dal nitore – riconoscibilità – delle loro fonti. Chi se ne occupa lo sa. E sa far luce, sulle relazioni che prende in esame, aprendo allo sguardo un campo visivo, per così dire, mobile. Allacciando nessi e inquadrando problemi.

Stefano Barattini, fotograficamente, mette in atto una ricerca molto vicina a queste e lo fa quando si occupa di aree industriali abbandonate così come – in queste foto di eclatante bellezza – di campagne coltivate.

Con le serie fotografiche dedicate alle aree industriali in disuso, Barattini ha esplorato una sorta di mondo parallelo a quello del tempo presente, regalandoci grandi immagini che evocano altre epoche produttive e, non di meno, la capacità della Natura di riprendere – in misure variabili – possesso di un territorio dal quale sembrava relegata a “distanza di sicurezza”.

Con la mostra “La distanza della bellezza” il fotografo apre un campo d’indagine – di inedita modernità – utilizzando i droni. Pur ricordando che la fotografia aerea ha più di un secolo, la novità sta nell’unione del mezzo con l’autore. Il drone non è pilotato da terzi, con i quali l’autore delle immagini debba comunicare. L’occhio del drone è mosso dalle mani stesse del fotografo. E’ prolunga tecnologica della sua capacità di osservare e catturare la realtà. E’ un obiettivo fotografico a tutti gli effetti.

La capacità e la qualità autoriale di Stefano Barattini emerge clamorosamente dalle fotografie per due ragioni complementari (e assenti nelle quasi totalità delle fotografie in circolazione realizzate con i droni). La prima è di carattere culturale ed è legata ai sui studi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. La seconda, decisiva, alla misura estetica che gli impone di escludere da ogni opera ciò che non è strettamente necessario al discorso. Un millimetro in più sarebbe decorativo e ridondante. Un millimetro in meno insufficiente a reggere la grammatica di questo linguaggio d’immagine.

L’altezza di sorvolo fa l’inquadratura, non meno di quanto le distanze tra gli oggetti rappresentati facciano l’opera. L’occhio del drone-fotografo cattura geometrie che si formano quando si perde il valore d’uso dei campi (il dettaglio delle specie agrarie) e non si è ancora “formato” il paesaggio indistinto delle macchie di colore utile solo a stupire, ma non a conoscere. Barattini riesce nel doppio intento di creare una documentazione precisa delle forme istituite dal lavoro agricolo e di attuare quella piccola magia linguistica di trasfigurazione del reale propria dell’Arte.

Avvicinandovi alle opere di Stefano Barattini potrete misurare una variante nuova – e distanze … e proporzioni! – di quella specie vivente che chiamiamo Bellezza.

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